Sui social e i media mainstream continua a tenere banco il Reddito di Cittadinanza spesso affrontato in modo raffazzonato e, soprattutto, mai rapportato al contesto dell’insieme dei paesi dell’Unione Europea.
Se si volesse approfondire tale contesto, sapremmo che in TUTTI i paesi UE esistono da decenni forme di sostegno al reddito (ne erano privi solo Italia e Grecia ma credo che quest’ultima abbia posto rimedio recentemente), sostegno che nessun politico e nessuna canea del popolino si sogna di mettere in dubbio perché questa misura è considerata un importante segno di civiltà.
Al contrario nel Bel Paese vanno per la maggiore le critiche rivolte agli approfittatori, unite al giudizio tranciante rivolto a chi non ha voglia di lavorare per qualche spicciolo di euro all’ora e, infine, a quanto ci costano questi fannulloni.
La cosa fondamentale è quella di evitare consapevolmente di chiarire i contorni che presiedono e giustificano delle misure al sostegno del reddito degli incapienti, analogamente a ciò che si fa in merito all’introduzione di un salario minimo garantito.
E’ pacifico che la politica in toto abbia interessi di bottega nel non voler chiarire questi contenuti in relazione alla situazione degli altri paesi.
Nell’operazione di disinformazione brilla in particolare il PD, che pur disponendo di una nutrita schiera di europarlamentari che hanno a disposizione tutte le informazioni necessarie, si guarda bene dall’approfondire temi sui quali si è sempre dimostrato non tiepido ma freddo.
Lo stesso sindacato (non mi riferisco ovviamente alla CISL ormai genuflessa alle ricette liberiste e al sostegno alla Confindustria) ha a lungo osteggiato l’introduzione del RDC e del salario minimo garantito rivedendo solo recentemente, ma ancora tiepidamente, le sue posizioni.
In questa situazione di colpevole diffusione di informazioni quanto meno lacunose e di pervicace volontà di far crescere la disinformazione e la conseguente ignoranza, è comune trovare sui social una canea di prese di posizione scatenate nei riguardi del RDC. E’ del resto vero che i social sono il nefasto contesto nel quale si agitano e trovano spazio le più incredibili e vergognose forme di odio nei confronti di tutto e di tutti.
E allora spazio a coloro, e sono tanti, pronti ad accettare qualsiasi ruberia di Stato, qualsiasi privilegio dei politici, qualsiasi manovra truffaldina delle imprese, insomma qualsiasi porcata attuata da chi detiene il potere politico o economico ma che non possono tollerare che la fascia più debole della popolazione usufruisca di qualche centinaio di euro per la sua sopravvivenza.
Da oltre vent’anni l’Associazione ATDAL Over 40 si occupa di far emergere e tutelare i diritti degli over 40 che, espulsi dal mondo del lavoro, si trovano ad essere considerati “troppo vecchi per lavorare ma troppo giovani per la pensione”. Per questa categoria di ex-lavoratori oggi disoccupati così come per i tanti giovani anch’essi disoccupati oppure precarizzati con miseri stipendi da fame, il RDC rappresenta uno strumento fondamentale non per cibarsi di caviale e champagne ma per avere un minimo di respiro dall’assillo del vivere quotidiano.
Perché l’alternativa è, o può essere, terribile come cerco di far capire nelle tre storie di vita vissuta di alcuni nostri associati che vado a riassumere qui di seguito.
SI CHIAMAVA G…
Toscano verace, trasferitosi a Roma per motivi di lavoro. Sposato con due figli aveva fatto carriera divenendo dirigente in una media impresa metalmeccanica. Attorno ai 60 anni gli venne proposto di andare a dirigere un impianto dell’azienda in Polonia. Lui accettò separandosi dalla famiglia che riusciva a rivedere un paio di volte all’anno. Trascorsi due anni l’azienda lo convocò a Roma e gli comunicò il licenziamento. Avemmo modo di conoscerlo perché aderì alla nostra Associazione impegnandosi da subito nel darci una mano, sempre assistito dalla sagacia e dalla battuta pronta tipiche della sua origine toscana.
Fu al nostro fianco quando venimmo convocati per la prima volta alla Commissione Lavoro del Senato mentre si dannava l’anima per cercare un nuovo impiego. Non gli ci volle molto tempo per capire che per lui non c’erano reali possibilità di ricollocarsi. L’età era il fattore negativo che gli precludeva ogni speranza. Entrò presto in una crisi profonda, non accettava di essere considerato uno scarto senza speranza, un uomo che all’età di 60 anni aveva come unica speranza quella di attendere una pensione lontanissima nel tempo. Nel giro di un anno cominciarono a manifestarsi diversi malanni fino a quando dovette essere ricoverato. Nessuno sapeva spiegarsi il suo declino fisico e psicologico fino a quando un ictus lo portò alla morte.
SI CHIAMAVA F…
Viveva in provincia di Venezia. Per anni aveva condotto una piccola rivendita di prodotti informatici fino a quando la concorrenza dei grandi distributori lo aveva messo in ginocchio e costretto a chiudere l’attività. Anche F. era attorno a 60 anni, sposato con due figli che amava sopra ogni cosa. Lui non aveva la forza d’animo di G. , si abbatteva di fronte alle porte che gli venivano sbattute in faccia. Ci si sentiva al telefono quasi tutti i giorni, telefonate dalle quali traspariva rabbia, delusione, incredulità di fronte ai tanti rifiuti che riceveva. Si era appoggiato alla Diocesi veneziana che gli aveva trovato un impiego per qualche mese, andava a rifare i letti e pulire le stanze di un piccolo albergo di proprietà della Diocesi. Poi era andato a dare una mano a un amico che possedeva una bancarella per la vendita di oggetti ai turisti in visita a Venezia. Non riuscendo a rassegnarsi all’inattività aveva accettato la proposta della Diocesi di andare in Africa come volontario all’interno di un progetto scolastico per il sostegno ai bambini poveri. Vi aveva trascorso qualche mese ed era tornato apparentemente rinfrancato da quella esperienza. Ma, ben presto, la depressione dovuta alla mancanza di un’opportunità di lavoro era tornata a galla. Prima un infarto, superato con difficoltà e, infine, un ictus lo hanno portato alla morte.
SI CHIAMAVA M…
Una donna single prossima ai sessanta, aveva lavorato nel marketing fino a quando improvvisamente le comunicarono il licenziamento. M. non aveva una vita facile, viveva con la madre affetta da Alzheimer e doveva anche farsi carico di una sorella con gravi problemi cognitivi dalla nascita, ricoverata in una struttura dove vegetava data l’impossibilità di recupero. Nonostante tutto, M. era una persona battagliera, di grande cultura, incapace di accettare il fatto di non essere più idonea a svolgere un’attività lavorativa. Viveva di qualche sussidio derivante dalle condizioni della madre e della sorella. Un giorno ricevemmo l’invito a partecipare alla trasmissione di Giletti in onda, a quei tempi, su Rai Uno. Ricordo che durante il viaggio in aereo verso Roma (Rai Uno era l’unica emittente che se t’invitava ti pagava il viaggio in aereo) era ossessionata dalla preoccupazione di non voler piangere durante l’intervista. Non aveva fatto i conti con Giletti che, spolverando una valanga di luoghi comuni legati al Natale che sarebbe arrivato da lì a pochi giorni, tanto fece che riuscì a farla scoppiare in lacrime. Nel viaggio di ritorno si tormentava per non essere riuscita a controllarsi. Ci siamo sentiti telefonicamente con regolarità fino a quando ad una mia chiamata ha risposto una parente comunicandomi che M. era deceduta dopo una breve malattia.
Tre storie di vita tremende, certamente estreme, ma attorno alle quali ne abbiamo conosciute altre non meno tragiche. Famiglie che si sono disgregate perché anche l’amore deve fare i conti con le necessità di sopravvivenza, perché la moglie ma, soprattutto, il marito disoccupato diventa irascibile, scontroso, perché non tutti i figli sanno accettare un drastico ridimensionamento del tenore di vita e col tempo cominciano a considerarti un fallito, perché si è costretti a vendere la propria casa perché non più in grado di sostenerne le spese, perché uno zombi che si aggira senza pace tra le mura domestiche non è più sopportabile. E allora arriva la separazione, ne abbiamo conosciuti alcuni che si sono ridotti a dormire in auto per lunghi periodi, affidandosi ai centri di sostegno agli incapienti per poter accedere ad un pasto, attanagliati dalla vergogna di non essere più in grado di mantenere la propria famiglia.
Tutte queste storie sono certo non possano scalfire gli imbecilli dei social, quelli che la sanno sempre lunga, che hanno le loro certezze inossidabili, che sanno cavillare su tutto e il contrario di tutto non sapendo nulla di una realtà che non gli appartiene, almeno fino a quando non si vengano a trovare in analoghe condizioni. Quel giorno siamo certi che li ritroveremo a lamentarsi, a gridare al mondo la propria condizione disperata, quella condizione che fino a ieri era così lontana da loro da potersene infischiare.
Armando Rinaldi
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Per leggere il precedente post sul reddito di cittadinanza pubblicato sul sito cliccate qui
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